Quote rosa | Le donne ai vertici non “servono”

E’ uscito il giorno 7/9/2012 un articolo su “Il Giornale” scritto da Antonio Salvi che allego per vostra conoscenza.

Un esempio concreto di come remare “contro” in un momento di attesa di un parere positivo dal Consiglio di Stato in merito al regolamento attuativo per la legge (già approvata) delle quote rosa nei CdA.

Non ho commenti in merito, perchè non credo che un articolo di questo tipo meriti commenti ma di certo una segnalazione al Direttore del quotidiano per il livello raggiunto dagli articoli pubblicati nel giornale che dirige.

Non esiste una panacea per tutti i mali e sappiamo bene che la legge approvata è solo un punto di partenza per “picconare” una serie di realtà culturali e sociali esistenti.
Sappiamo però che nei paesi più avanzati in termini di rappresentanza e diversity il primo passo è stato proprio introdurre quote di questo tipo.

Non ci illudiamo che sarà facile o miracoloso per le donne che avranno un’opportunità in più grazie alla legge, ma sarà l’inizio di una rottura di schema, un primo passo che dovrà essere seguito da un ulteriore obiettivo, ovvero di un ri-bilanciamento della presenza di donne in politica.

Tutto ciò mette in allarme chi non vuole che questo accada….

Vi invito ad inviare una lettera o solo un messaggio di protesta al Direttore in questione se avrete voglia o tempo.
Io l’ho fatto.

Ecco i contatti:

alessandro.sallusti@ilgiornale.it

segreteria@ilgiornale.it



Maria Cimarelli



Se ti è piaciuto questo articolo, seguici regolarmente nel nostro network gratuito dove potrai incontrare migliaia di mamme. Iscriviti a WMI!

Tags: , , , , , , ,

One Response to “Quote rosa | Le donne ai vertici non “servono””

  1. Senza voler innescare nessuna polemica in merito all’opportunità o meno di “imporre per legge” la presenza femminile nei cda, quello che mi ha lasciato perplessa e assistere ad un fiorire di corsi per “preparare le donne non solo ad entrare in un CDA, ma a far parte dei più importanti comitati interni” – affermazione di Lella Golfo !
    Che la formazione e l’aggiornamento siano sempre importanti è una filosofia che condivido pianamente, non riesco, però, a capire il motivo per cui alle future possibili consigliere viene quasi “imposto” di frequentare dei corsi sulla corporate governance mentre ai consiglieri uomini ( anche di prima nomina) nessuno ha mai richiesto un “diploma” un “certificato di partecipazione” a corsi per “imparare a fare il consigliere”! e qualcuno francamente ne avrebbe anche bisogno! La Fondazione Bellisario presieduta dalla Golfo ha inoltre creato un “albo” di CV femminili che vengono sottoposti ad un iter di “certificazione” per verificare se rispettano “una serie di parametri” (quali non è dato dapere) che rendono idonee le candidate a ricoprire un posto nei board. Pare che su 2500 CV già inviati ne siano stati certificati 1.700. Perchè non esiste un elenco di CV maschili “certificati” a fare i consiglieri? Il punto non è il genere ma, come spesso accade, la scelta che ricade su persone vicine e/o legate da rapporti o legami di amiciazia e/o conoscenza con l’azionista di maggioranza che, se abituato a gestire la società come se fosse “SOLO SUA” ancorchè quotata in Borsa naturalmente tende a scegliere chi ovunque e comunque approva le sue indicazioni. Il genere quindi non è la discriminante per sedere nei consigli di amministrazione, ma di più lo è il legame più o meno stretto con l’azionista di riferimento.